Hans Christian Andersen
“Quando si parla ascolta tutto” Hemingway consigliò sull’essere uno scrittore. Più di un secolo prima, un bambino in Danimarca, nato nella povertà da un padre calzolaio e una madre lavandaia analfabeti, passava le sue giornate ascoltando i racconti delle vecchie nel manicomio locale. Questo insolito fulcro della narrazione contadina e nella tradizione orale del folklore divenne il suo laboratorio per l’ascolto, da cui avrebbe poi inventato le proprie storie. Storie amate in tutto il mondo, che hanno sollevato, generazioni di bambini, in un mondo magico di gioco immaginativo. Hans Christian Andersen utilizza quel singolare talento di ascoltare racconti della povertà, diventando uno dei più grandi narratori della storia e il santo patrono del genere fiabesco.
A differenza dei fratelli Grimm – studiosi di letteratura e linguisti che, piuttosto che un viaggio nella campagna per raccogliere di prima mano i racconti orali, si basavano su una manciata di fonti attendibili – Andersen raggiunse la maggiore età come un contadino in mezzo a una società altamente superstiziosa, in un piccolo paese di 8000 anime più simile a una città medievale che una città europea, dove i racconti si utilizzavano sia come intrattenimento sia per l’educazione morale. Non solo, le sue storie sono autentiche, a differenza dei fratelli Grimm che hanno raccontato storie esistenti, gli storici stimano che solo 7 dei 200 racconti di Andersen sono stati presi in prestito.
Fin da giovane, Hans sentiva un profondo senso di solitudine e inadeguatezza, trovava rifugio nella sala del manicomio mentre i suoi coetanei preferivano giocare nei parchi. Per fortuna, il padre, povero com’era, amava la letteratura e possedeva un armadio di libri – raro lusso dato sia il reddito della famiglia sia il loro ambiente culturale. Anche se morì presto, quando Hans aveva solo undici anni, aveva letto molto al ragazzo fornendogli una formazione rara e impensabile comparata al livello economico e sociale. Hans ha descritto la lettura come il suo “passatempo unico e più amato”. E ‘stata questa confluenza di lettura e di ascolto che lo ha reso il grande narratore che è diventato.
Grazie alla regola monarchica della Danimarca, il paese – a differenza dei suoi colleghi europei, intensamente concentrato sulla politica e lo sviluppo economico – era nel bel mezzo di una età dell’oro della cultura creativa e delle arti, così Andersen è stato in grado di garantire la sua propensione da artista, che gli ha dato una certa libertà per affinare la sua scrittura.
Così, quando ha scritto “Il brutto anatroccolo” Andersen ha messo qualcosa della sua vita, commentando malinconicamente il suo cammino e le molteplici esperienze giovanili (non ultima quella scolastica) maturando la tematica del “diverso” che lotta per essere accettato. Forse questo sentimento, insieme alla sua capacità di “ascoltare completamente” e rimanere in contatto con la propria apertura ad esplorare il mondo, inventò una nuova sensibilità di narrazione per bambini, “racconti per bambini per amore dei bambini “- un cambiamento radicale dalla tradizione di racconti morali che hanno preceduto Andersen, e lontani dall’interesse accademico dei Grimm nel linguaggio e nelle immagini. Andersen realizzò racconti che erano sognanti e facilmente riconoscibili dai bambini, la costruzione di mondi emotivamente complessi ma guidati da una logica intuitiva. La genialità.Mentre la sua introspezione e la sensibilità non sono stati perfettamente calibrati alle esigenze della propria vita, Andersen ha avuto la capacità di articolare desideri profondi trasformandoli in racconti trascendenti.
Andersen è anche accreditato come esploratore dell’inconscio prima che gli studi di Freud e della sensibilità del surrealismo prendevano piede nel ventesimo secolo.Andersen impregna un semplice calamaio e sogna un soldato giocattolo, un uccello, un pisello, punti fissi, desideri, arroganze e coraggio. I personaggi di Andersen sono simili all’uomo nelle loro passioni e nelle loro debolezze, e spesso hanno una prospettiva leggermente contorta, in grado di vedere il loro vero destino come se Andersen facesse splendere una luce sui limiti della nostra soggettività umana. In questo modo, forse il vero soggetto dei suoi racconti è la condizione imprescindibile della soggettività come l’essenza dell’esperienza umana.
Le fiabe di Hans Christian Andersen sono assolutamente squisite, viaggiano perfettamente nel tempo e i bambini amano ascoltarle, leggerle e guardarle riprodotte in film di avventura e animazione. È assurdo pensare che Frozen – Il regno di ghiaccio è diventato due anni fa il film d’animazione ad avere incassato di più nella storia del cinema, ispirato circa due secoli prima da una fiaba di Hans Christian Andersen – La regina delle nevi.
Consiglio:
La regina delle nevi
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